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Il Disturbo Evitante di Personalità

Molte persone lottano con la timidezza ma circa il 2% della popolazione soffre di una forma di timidezza così grave da provocare un'estrema inibizione sociale. Nel disturbo evitante di personalità, l'eccessiva timidezza e la paura del rifiuto comportano una incapacità relazionale che rende difficile per le persone interagire socialmente e professionalmente. 

La persona che soffre di questo tipo di disturbo psicologico è particolarmente sensibile al rifiuto: più che di semplice timidezza si tratta di una paura paralizzante per il rifiuto associata a un’elevata sfiducia verso coloro che la circondano.

Ciò influisce negativamente ed in innumerevoli modi: dall’evitare le situazioni sociali, rifuggire le relazioni d’amore, fino all’isolamento.

Le persone con disturbo evitante di personalità possono evitare attività lavorative o rifiutare offerte di lavoro a causa del timore di critiche da parte degli altri. Possono essere inibite nelle situazioni sociali a causa di una bassa autostima e sentimenti di inadeguatezza. Inoltre, possono essere preoccupate dei propri difetti e instaurare rapporti con gli altri solo se sono certe di essere accolte con benevolenza. La perdita e il rifiuto sono così dolorosi per questi individui che sceglieranno la solitudine piuttosto che rischiare di provare a relazionarsi con qualcuno. 

Se da un lato la persona nutre il desiderio e la speranza di riuscire ad aprirsi alle relazioni dall’altra rifugge i rapporti, specie quelli profondi, a causa di alcune preoccupazioni: essere rifiutata, criticata, disapprovata, messo in ridicolo, sentirsi in imbarazzo. 

Il disturbo evitante di personalità è caratterizzato dalla convinzione radicata nel soggetto di valere poco; ciò lo porta a sentirsi in difetto, diverso, inadatto alle relazioni. Teme che i propri limiti e le proprie insicurezze possano essere notate. Ritiene che se le persone lo sconoscessero meglio, se instaurasse relazioni intime e confidenziali, verrebbe rifiutato. Proietta sugli altri la visione negativa che ha di se stesso. L’errore cognitivo è che sussista un pensiero unico, ciò che egli vede e pensa di negativo di se stesso è esattamente ciò che colgono gli altri di lui. Di fatto quindi ha poche o nessuna relazione, si ritrova spesso solo. Vive in se il conflitto tra desiderio di relazionarsi, di avere amici ed un’amore, ed timore di non essere ok per gli altri. Le relazioni che instaura sono superficiali e solo con le persone a cui è certo di piacere. E’ molto attento ai segnali del corpo, alle espressioni facciali per cercare di cogliere l’opinione che gli altri hanno di lui; spesso legge critica, distacco, disinteresse nei suoi confronti anche dove non vi sono.  I segni caratteristici del disturbo evitante di personalità sono:

 

  • Esordio precoce del disturbo:. I sintomi iniziano a manifestarsi nella prima età adulta, intorno a vent’anni e tendono a diminuire una volta raggiunti i 40-50 anni.
  • Evitamento sociale: la persona inizia a ritirarsi dalle attività sociali che implicano contatto e coinvolgimento con gli altri a meno che non sia certa di piacere. Non ha amici intimi ed è riluttante a farsi coinvolgere dalle persone, a correre rischi, provare cose nuove perché potrebbero rivelarsi imbarazzanti per lui/lei.
  • Iper-sensibilità alle critiche: la persona si sente in ansia quando è tra le persone, i sintomi diventano severi quando viene criticata. Viene facilmente ferito dalle osservazioni e teme di trovarsi al centro dell’attenzione, sotto lo sguardo di altri. Ha paura di fare qualcosa di sbagliato o di sembrare goffo ed impacciato.
  • Convinzioni negative su di sè: pensa di essere una persona socialmente inetta, inferiore, poco attraente. Man a mano che l’inibizione sociale aumenta anche l'opinione negativo che ha di se si rinforza. Tale convinzione è fonte di angoscia, causa una grave limitazione in molti contesti sociali, incluso quello lavorativo. 

 

LE CAUSE: non vi è un’unica causa a determinare il disturbo evitante di personalità; concorrono molti fattori tra cui quelli genetici ed ambientali. Il rifiuto da parte di un genitore o dei pari, possono svolgere un ruolo nello sviluppo della condizione. Coloro che hanno subito qualche forma di critica estrema da parte dei genitori e/o bullismo da parte dei coetanei a scuola sono più a rischio di considerare le relazioni come qualcosa da rifuggire. Se un bambino è stato costantemente vittima di critiche, umiliazioni, rifiuti e punizioni per non essere stato abbastanza bravo può crescere con un senso di inadeguatezza tale da condizionate la sua vita adulta. Anche lo stile relazionale dei genitori può modellare le modalità sociali del bambino; genitori ansiosi, spaventati dai pericoli del mondo e poco propense alle relazioni amicali possono contribuire alla ritrosia sociale. Ovviamente è doveroso anche tener conto del temperamento del bambino stesso. Un temperamento forte può dotarlo di strategie di coping tali da non sviluppare questo disturbo o limitarne l’impatto.

Va considerato anche il ruolo giocato dall'aspetto e dalle difformità fisiche dovute dallo sviluppo e da qualche menomazione. Una particolare deformità fisica, ritardo o precocità nello sviluppo fisico (es. in altezza, peso, miopia, balbuzie, pubertà precoce, etnia... ) che distingue un bambino dai suoi coetanei, può influenzare molto il suo modo di interagire, l’ idea di se ma anche il modo in cui viene accolto dagli altri: può essere deriso, preso in giro, escluso dai giochi. Se un bambino è stato ridicolizzato o rifiutato in tenera età può nutrire l’idea di non avere le caratteristiche per piacere agli altri, Il comportamento evitante inizia tipicamente nell'infanzia o nella prima fanciullezza con timidezza, isolamento ed evitamento di estranei o nuovi posti. La maggior parte delle persone che sono timide nei loro primi anni tendono a superare il comportamento, ma coloro che sviluppano un disturbo evitante di personalità diventano sempre più timide quando entrano nell'adolescenza e nell'età adulta.

 

IL TRATTAMENTO: il disturbo evitante, come per tutti i disturbi di personalità, richiede un trattamento terapeutico articolato per interrompere gli schemi interpersonali di evitamento, modificare le convinzioni errate, affrontare la paura del rifiuto per costruire autostima e fiducia. Si tratta di un lavoro sulla struttura della personalità formatasi durante l’infanzia e rinforzatasi per assenza di esperienze relazionali positive e gratificanti. 

La psicoterapia funziona bene quando la persona che soffre è entrata in terapia di propria iniziativa. Assieme al terapeuta il paziente impara a stare in una relazione profonda, lavora per acquisire strategie di coping utili a perseguire gradualmente piccoli obiettivi di cambiamento. Anche la terapia di gruppo può essere di valido aiuto per sviluppare la capacità di relazionarsi, esprimere il proprio mondo interiore in un contesto accogliente e privo di giudizio, confrontarsi con un stili di pensiero che divergono dal proprio. 

Senza trattamento, le persone con disturbo evitante di personalità possono rassegnarsi a una vita di isolamento anche totale. Possono sviluppare un disturbo psichico secondario come il disturbo depressivo o l'abuso di sostanze. 

 

CONCLUSIONI: in sintesi, sebbene la timidezza non sia un disturbo, l'aiuto di uno psicoterapeuta e di uno psichiatra importante di fonte a limitazione evidenti che impediscono alla persona di funzionare bene nella vita e formare relazioni soddisfacenti.

 

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Autore: Dott. Maurizio Sgambati - Psicologo Psicoterapeuta. © Riproduzione vietata.