Sensation Seeking: Quando il Brivido Serve a Sentirsi Vivi

Nel cuore della psicologia contemporanea, il concetto di Sensation Seeking - la ricerca di sensazioni e stimoli intensi - è stato ampiamente studiato come tratto di personalità, ma anche come strategia di compensazione emotiva. Alcune persone sembrano inseguire costantemente esperienze estreme: sport ad alto rischio, relazioni travolgenti, cambiamenti improvvisi, consumo compulsivo, viaggi frenetici. Ma cosa si cela dietro questa fame di intensità?
Il bisogno di sentirsi vivi. Per molti, la ricerca di sensazioni forti non è una questione di adrenalina. È un modo per combattere una sensazione interna di vuoto, di disconnessione, di anestesia emotiva. Quando la quotidianità diventa troppo prevedibile, quando la routine soffoca l'immaginazione, quando le emozioni non vengono riconosciute o elaborate, il corpo e la mente cercano un'alternativa: qualcosa che rompa il silenzio interno, che scuota, che faccia sentire tra "qualcosa".
In questo senso, il Sensation Seeking può diventare una forma di auto-risveglio. Il brivido, il rischio, l'imprevisto diventano strumenti per riattivare la percezione di sé. Non è vero che chi si sente emotivamente spento, cerca esperienze forti per confermare di essere ancora vivo.
È una fuga dalla noia e dalla vulnerabilità. La noia, in psicologia, non è semplicemente mancanza di stimoli: è spesso il sintomo di una difficoltà a stare con se stessi. Chi non riesce a tollerare il vuoto, il silenzio, l'attesa, può sviluppare una dipendenza da stimoli esterni. In questo contesto il Sensation Seeking diventa una fuga: dalla vulnerabilità, dalla lentezza, dalla profondità emotiva.
La routine, e con i suoi ritmi lenti e ripetitivi, può essere vissuta come una minaccia. Non perché sia negativa in sé, ma perché costringe a confrontarsi con ciò che si prova davvero. E se le emozioni sono confuse, dolorose o svalutate, allora è più facile cercare qualcosa che le sovra stie: un'esperienza intensa che le meta a tacere.
Che vive in funzione dell'intensità può sviluppare una forma di svalutazione del quotidiano. I gesti semplici, le relazioni stabili, i momenti di quiete vengono percepiti come banali, noiosi, insufficienti. Ma questa svalutazione è spesso una difesa: riconoscere il valore delle piccole cose richiede presenza, lentezza, capacità di stare. E chi ha imparato a sopravvivere solo nell’urgenza può risultare insopportabile. Si sviluppa quindi un disprezzo per le piccole cose.
In realtà, la capacità di apprezzare il piccolo - un caffè condiviso, una passeggiata, una parola gentile - è uno dei segnali più chiari di benessere emotivo. È lì che si costruisce la resilienza, la connessione, la profondità. Il Sensation Seeking, se non bilanciato, rischia di diventare una forma di auto-esilio dalla vita vera.
Il punto non è demonizzare la ricerca di intensità. Il bisogno di stimoli forti può essere sano, creativo, vitale. Ma quando diventa l'unico modo per sentirsi vivi, è importante chiedersi: cosa sto evitando? Cosa non riesco a sentire? Cosa temo di incontrare nella mia quiete? Ovvero domande che portano a una maggiore consapevolezza della propria interiorità.
La psicologia del Sensation Seeking ci invita a esplorare il confine tra stimolo e fuga, tra vitalità e dipendenza e ci ricorda che il vero risveglio non arriva solo dal brivido, ma dalla capacità di evitare anche il silenzio, la lentezza, la profondità.
Perché sentirsi vivi non significa solo sentire forte. Significa sentire tutto. Anche ciò che è piccolo, sottile, imperfetto. Anche ciò che non fa rumore.

Dr. Maurizio Sgambati
Psicologo a Pordenone