Il tempo che segna: vivere la terza età

Diventare anziani non è semplicemente un passaggio biologico. È un'esperienza psicologica profonda, che coinvolge l'identità, le emozioni, la percezione del tempo e il senso di sé. La terza età non arriva all'improvviso, ma si insinua lentamente, modificando il corpo, la mente e il modo in cui ci si relaziona al mondo. E se da un lato porta con sé una ricchezza di vissuti, dall'altra espone l'individuo a nuove fragilità, a interrogativi dedicati, a un confronto inevitabile con la finitudine.
Il corpo cambia, e con esso cambia il modo in cui ci si percepisce. La forza fisica si riduce, i movimenti rallentano, le funzioni sensoriali si attenuano. Questi mutamenti non sono solo fisiologici: hanno un impatto diretto sull'autostima, sulla sicurezza, sulla capacità di sentirsi ancora "parte attiva" della società. La perdita di autonomia, anche parziale, può generare frustrazione, senso di inutilità, paura di diventare un peso. Il corpo, che per anni è stato strumento di libertà e piacere, diventa un limite, un territorio da proteggere. E accettarlo non è semplice: richiede un nuovo dialogo con se stessi, più gentile, più rispettoso.
Sul piano emotivo, la terza età è spesso attraversata da sentimenti ambivalenti. Da un lato c'è la gratitudine per ciò che si è vissuto, la saggezza accumulata, la libertà dai ruoli sociali. Dall'altro, ci sono il lutto, la solitudine, nostalgia. La perdita di persone care, l'allontanamento dei figli, il ridimensionamento della rete sociale possono generare un senso di vuoto difficile da colmare. Eppure, proprio in questo spazio emotivo, può nascere una nuova forma di consapevolezza: quella che permette di dare valore al presente, di vivere con intensità ciò che resta, di riconoscere la bellezza anche nella fragilità.
Secondo Erik Erikson, uno dei grandi maestri della psicologia dello sviluppo, la vita umana attraversa 8 stadi evolutivi, ciascuno caratterizzato da una crisi psicosociale da affrontare. L'ultimo stadio, che coincide con la tarda età adulta, è definito come il conflitto tra integrità dell'io e la disperazione. È il momento in cui l'individuo guarda indietro, ripercorre la propria esistenza e si confronta con ciò che è stato - con le scelte fatte, le relazioni vissute, le perdite, i successi, i fallimenti.
Superare questa fase significa riuscire a integrare il proprio vissuto in una reazione coerente, accettando la propria storia con lucidità e compassione. Significa riconoscere che, pur tra errori e rimpianti, la vita ha avuto un senso che si è vissuto, sia amato, si è lasciato un segno. Questo processo genera un senso di integrità, una pace interiore che permette di affrontare la fine della vita con dignità e saggezza.
Al contrario, quando prevale la disperazione, l’anziano può sentirsi sopraffatto dal rimpianto, dalla sensazione di non aver vissuto pienamente, dal timore di essere dimenticato. Questo vissuto può generare l'angoscia, l’isolamento, il rifiuto del presente. Ecco perché la terza età non è solo un tempo di bilanci, ma anche di riconciliazione. È l'ultima possibilità di dare il significato al proprio cammino, di perdonarsi, di lasciare andare. In questo senso, il lavoro psicologico nella terza età non è un esercizio di memoria, ma un atto di integrazione. Aiutare l’anziano a rileggere la propria vita, riconoscere il valore delle esperienze, trasformare la fragilità in saggezza, significa accompagnarlo verso quella virtù che Erikson chiama saggezza: la capacità di accettare la vita per ciò che è stata, senza negarla né idealizzarla.
Naturalmente, non tutti affrontano l'invecchiamento allo stesso modo. Le risorse personali, il contesto familiare, la salute, la storia di vita influenzano profondamente il modo in cui si vive questa fase. Alcuni anziani sviluppano sintomi depressivi, ansia, apatia. Altri, invece, trovano nuove motivazioni, si reinventano, si aprono a esperienze inaspettate. Le differenze spesso stanno nella possibilità di essere ascoltati, riconosciuti, accompagnati.
La psicoterapia nella terza età non è un lusso, ma una risorsa preziosa. Permette di affrontare le paure, di rielaborare i lutti, di ritrovare un senso. E soprattutto, restituisce all'anziano la dignità di essere ancora protagonista della propria vita.
Invecchiare è un viaggio. A volte faticoso, a volte sorprendente. È un tempo che chiede ascolto, rispetto, presenza. Ma è anche un tempo che può offrire molto: tenerezza, memoria, visione. Accettare le mutazioni fisiche, il tempo che passa, le emozioni che cambiano, non significa rinunciare alla vita. Significa viverla in modo nuovo, più vero, più umano.
Perché invecchiare non è perdere qualcosa. È trasformarsi. E ogni trasformazione, se è accolta, può diventare rinascita.

Dr. Maurizio Sgambati
Psicologo a Pordenone