Il portavoce invisibile: il messaggero del sistema familiare

In molte famiglie, c'è sempre "quello che sta male". Quello che ha problemi, che crea tensioni, che sembra non riuscire a trovare pace. È il figlio ribelle, il partner fragile, il genitore instabile. E' il paziente designato: la persona che, più di tutti, sembra portare il peso del disagio. Ma spesso, dietro il suo malessere, si nasconde qualcosa di molto più grande. Non è lui il problema, ma il portavoce di un sistema che soffra in silenzio. La psicologia sistemico-relazionale ci insegna che il sintomo non è sempre individuale. Anzi, spesso è il segnale di un equilibrio familiare disturbato. Il paziente designato è colui che esprime, attraverso il proprio comportamento il proprio dolore, ciò che gli altri non riescono a dire. È il più sensibile, il più permeabile, quello che "incarna" il conflitto, la tensione, la rabbia o la tristezza che circolano nella famiglia ma non trovano pace.
Questa dinamica si sviluppa in contesti dove le emozioni vengono represse, i conflitti evitati, i ruoli irrigiditi. Famiglie dove l'apparenza conta più della verità, dove il bisogno di mantenere una facciata di normalità impedisce di affrontare ciò che non funziona. In questo scenario, il paziente designato diventa il capro espiatorio, la pecora nera, il bersaglio su cui si concentra l'attenzione. Ma il suo disagio è spesso una forma di lealtà: è lui che si fa carico del dolore collettivo, che lo rende visibile, che lo denuncia.
Il ruolo del terapeuta, in questi casi, è cruciale. Non può limitarsi a "curare" il sintomo, come se fosse isolato dal contesto. Deve guardare oltre, decifrare il messaggio che il paziente porta, comprendere la funzione che il suo malessere svolge all'interno del sistema familiare. Il terapeuta diventa così un traduttore: aiuta il paziente a capire che ciò che sente non è solo suo, ma fa parte di una storia più ampia. E aiuta la famiglia, se coinvolta, a riconoscere il proprio contributo al disagio.
In terapia, il paziente designato può finalmente uscire dal ruolo che gli è stato assegnato. Può smettere di essere "quello che ha qualcosa che non va" e iniziare a costruire una narrazione più autentica di sé. Può distinguere ciò che gli appartiene da ciò che ereditato, e scegliere non portare più sulle spalle il peso degli altri. Questo processo è liberatorio, ma anche trasformativo: quando il paziente cambia, spesso cambia anche il sistema che lo circonda.
Essere la pecora nera, in fondo, non è una condanna. È spesso un atto di coraggio. Era rompere il silenzio, infrange le regole non dette, mettere in crisi l'apparente normalità. Si ascoltate compreso, il paziente designato può diventare una risorsa preziosa. La sua sensibilità, la sua capacità di esprimere il non detto, la sua rottura delle regole post innescare un processo di evoluzione familiare. Non è la voce del disturbo, ma la voce della verità. E forse, proprio per questo, è il primo a guarire.

Dr. Maurizio Sgambati
Psicologo a Pordenone