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Il Salvatore

Gli individui che abitualmente giocano a fare il salvatore non riescono a resistere alla tentazione di cercare di risolvere i problemi degli altri anche quando l’intervento non è richiesto dai soggetti interessati dal problema. Queste persone sono mosse da buone intenzioni ma spesso il loro modo di essere di aiuto si tramuta in comportamenti compulsivi e in prevaricazione. 

Ritengono di avere la capacità di influenzare il corso delle situazioni e degli eventi attraverso le loro capacità e competenze oltre che di avere un potere persuasivo tale da riuscire a convincere le persone a cambiare. Questo stile relazione è tipico di chi esercita una professione in ambito socio sanitario: come medici, infermieri, psicologi, insegnanti, educatori o assistenti sociali.

I tratti distintivi del salvatore sono:

 

  • Considera i bisogni degli altri prioritari e più importanti di quelli personali;
  • Aiuta persone percepite come “bisognose” ed “in difficoltà” nonostante l’aiuto non venga richiesto o apertamente rifiutato;
  • Aiuta gli altri per ottenere attenzione positiva.
  • Ritiene di sapere quale scelte siano migliori per gli altri e sente la necessità di spingerli in quella direzione. 
  • Assume una posizione di superiorità bonaria nei confronti di coloro che percepisce in difficoltà valutando la loro capacità di sapersela cavare da soli. 
  • Si circonda di persone che necessitano di aiuto per soddisfare il bisogno inconscio di sentirsi utile, necessario, importante, con l’obiettivo, spesso inconsapevole, di ottenere ammirazione.
  • Quando non riesce ad essere concretamente di aiuto si sente in colpa. 
  • Nel prendersi cura dei bisogni altrui usa tutte le sue energie psichiche e fisiche finendo per trascurarsi ed esaurirsi. 
  • Si sente impotente ed inutile quando l’aiuto offerto viene rifiutato. 
  • Non tollera i conflitti per cui si attiva al posto degli altri assumendo il ruolo di mediatore o pacere;

 

 

Chi nelle relazioni assume il ruolo di salvatore sin da piccolo ha sentito il desiderio o il dovere di soccorrere qualcuno; spesso si trattava di un membro della famiglia come ad esempio un padre alcolizzato, una madre depressa o un fratello malato. Queste modalità di relazione basate sulla dinamica vittima-salvatore acquisti in età precoce perdurano anche in età adulta.

Il salvatore si caratterizza per essere una persona empatica ed in grado di cogliere intuitivamente quando una persona si trova in difficoltà. Ha la spiccata capacità di individuare i punti di vulnerabilità degli altri ed offrire protezione. 

E’ in grado di offrire conforto e supporto emotivo facendo sentire le persone meno sole di fronte al dolore tuttavia non sempre è consapevole che nel tentativo di salvare gli altri dalla sofferenza cerca di mettere distanza dal proprio dolore emotivo, passato o presente. Il tentativo di salvare gli altri può essere considerato un tentativo di salvare sé stesso ovvero una forma di auto-guarigione.

Nonostante questi aspetti siano un vantaggio a livello relazionale vi alcuni aspetti negativi. Innanzitutto il salvatore ha la tendenza a trascurare se stesso a causa della sua ossessione nevrotica ad occuparsi del benessere e della cura degli altri.

In secondo luogo ogni essere umano ha bisogno di imparare a confrontarsi con le proprie sfide e risolvere i propri problemi attingendo alle proprie capacità e competenze anziché dipendere da qualcuno. 

Coloro che assumono il ruolo di soccorritore legano la propria soddisfazione, i propri obiettivi e le speranze verso l’esterno ed in rapporto alla realizzazione ed al benessere altrui. Essi faticano ad ascoltarsi e trovare il proprio senso della vita. In qualche modo venendo assorbiti dai disagi di chi li circonda sfuggono a se stessi ed evitano di assumersi alcune delle responsabilità riguardanti la propria vita.

Qual ero il salvatore non riesca a contenere il proprio “istinto” di aiutare a tal punto da trascurare le proprie esigenze rischia la sindrome del “burn-out”.

 

Come relazionarsi ad una persona che gioca a “se non ci fossi io”?

Il salvatore guarda alle persone come “incapaci” ad occuparsi dei loro problemi e quindi bisognose del suo aiuto. In tal modo instaura relazione basate sulla dipendenza o simbiosi (genitore-figlio). E’ necessario aiutare chi gioca al “salvatore” riconosce che ha una visione svalutante degli altri ma che ciò non sempre corrisponde alla realtà soprattutto quando l’auto non è richiesto. Le persone non apprezzano i loro sforzi perché in realtà sono in grado di badare a se stesse e consce dei rischi che corrono nel vivere come desiderano. 

Il salvatore ha bisogno di divenire consapevole che i suoi tentativi ossessivi di aiutare gli altri rappresentano in realtà un modo per proiettare le proprie debolezze e vulnerabilità reali o immaginarie sugli altri. Deve imparare che per potersi prendere cura degli altri innanzitutto deve prendersi cura di se stesso. 

Va mostrato che vi sono modi più sani per mostrare vicinanza ed empatia senza “scavalcare” gli altri da una posizione di superiorità seppur messa in atto a fin di bene. Ad esempio, chiedere alle persone se vogliono o hanno bisogno di aiuto ancor prima di fornirlo al fine di rispettare le decisione e le capacità altrui.

 

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Autore: Dott. Maurizio Sgambati - Psicologo Psicoterapeuta. © Riproduzione vietata.