La Sindrome di Hikikomori

Psicologo Dr. Sgambati Pordenone
Psicologo Dr. Sgambati Pordenone

La Sindrome di Hikikomori è stata identificata dallo psichiatra giapponese Tamaki Saito negli anni ‘80 per descrive una forma estrema di ansia sociale tipicamente giovanile. Si manifesta negli adolescenti con evitamento o totale ritiro sociale accompagnato da forti stati ansiosi. Il fenomeno si osserva soprattutto tra i ragazzi maschi di età compresa tra i 15 ed i 25 che sono dipendenti da internet e video giochi. Essi possono giungere al ritiro totale evitando di coinvolgersi in qualsiasi attività di studio, di lavoro e sociale sino ad isolarsi anche rispetto ai propri familiari. Si rinchiudono nella propria stanza a giocare per intere giornate ai videogame in una forma di stato ipnotico permanente arrivando persino a trascurare bisogni primari come la fame, la sete, l’igiene personale e sconvolgendo i ritmi sonno-veglia. Si accompagna quindi ad una dipendenza compulsiva dalla tecnologia (tablet, videogiochi, social network) per contenere una forte ansia sociale. Si può parlare di Sindrome di Hikikomori quando il ritiro dura da almeno 6 mesi e qualsiasi attività sociale viene evitata per lasciare il posto alle sole relazioni virtuali o esclusivamente con i familiari più stretti.

I criteri per la diagnosi sembrano i seguenti: 

 

  1. I sintomi si manifestano da almeno 6 mesi e quindi non hanno più la caratteristica di essere occasionali, transitori e circoscritti in un limitato lasso di tempo ma durevoli;
  2. Il giovane di rinchiude in casa per la maggior parte della giornata e quasi tutti i giorni;
  3. C’è un evidente e persistente evitamento delle interazioni sociali;
  4. I sintomi (ansia e isolamento) interferiscono in modo significativo con lo svolgimento delle normali attività di vita quotidiana e la routine. Rappresentano quindi un problema in ambito scolastico, professionale, sportivo e sociale;
  5. Il ritiro è percepito come ego-sintonico, ovvero come un tratto “normale” della propria personalità;
  6. Non vi sono altri disturbi mentali che giustifichino ritiro ed evitamento sociale.

 

La Sindrome di Hikikomori potrebbe essere scambiata per un disturbo depressivo, tuttavia il sintomo principale non è l'alterazione del tono dell'umore, bensì il senso di inadeguatezza e l’idea di non essere in grado di integrarsi nel mondo degli altri. Si accompagna dunque ad all’idea di inferiorità, di non essere all’altezza di far fronte alle sfide della vita, a bassa autostima, sentimenti di vergogna e fallimento. Ciò porta l’adolescente che sente di non poter reggere la pressione delle aspettative ad autoescludersi, rinchiudersi nella propria stanza e nel proprio limitato mondo per proteggersi dal fallimento che sperimenterebbe mettendosi alla prova. Ecco che quindi predilige relazionarsi solo tramite videogiochi e social social network dove può celarsi dietro ad una immagine ideale di sé rifuggendo il confronto vis a vis.  

Tale strategia difensiva però aumenta il rischio di sviluppare patologie psichiatriche come la schizofrenia, portare a sviluppare alienazione, disturbi del pensiero e tendenze suicidarie.

L’Hikikomori è abbastanza grave da spinge i giovani a escludere il mondo, amici e genitori rafforzando cosi la spirale d’ansia sociale. 

Sono state avanzate diverse spiegazioni sull’insorgenza di questa sindrome che vanno dall'autismo e dai disturbi pervasivi dello sviluppo. L’ipotesi più accreditata imputa la causa nella società sempre più centrata sull’idea di doversi conformare precocemente alle aspettative di persona di successo a livello sociale, sportivo, scolastico, lavorativo. 

Anche la difficoltà a corrispondere all’ideale sul piano fisico e dell’immagine di sé è fonte di ansia soprattutto quando sono presenti imperfezioni fisiche, bassa statura, obesità o questioni di orientamento sessuale che portano ad essere esclusi dal gruppo di pari o essere vittime di bullismo. Ecco che la forte spinta al perfezionismo e la competitività a livello scolastico e sportivo, il dover sempre dare un immagine vincente di sé non è per tutti sostenibile.

Spesso tale sindrome si riscontra in quelle famiglie i cui genitori sono sguarniti di quegli strumenti di cui il figlio necessita per sviluppare una graduale autonomia da casa ed il senso di fiducia in se (vedi articolo su “tipi di famiglie”). Sovente si tratta di genitori assorbiti dal lavoro o essi stessi dipendenti da "smartphone" incapaci di fornire regole sull'uso sano delle nuove tecnologie o che non hanno instaurato dal principio con i propri figli una rapporto basato su dialogo e autorevolezza. La dipendenza informatica viene quindi tollerata o "normalizzata" così come in passato lo era l'assenza di dialogo in cucina con la tv sempre accesa. Oggi sono tablet e telefonino ad impedire la comunicazione ed il contatto con le proprie emozioni e sensazioni interne. In queste famiglie non vengono proposte e incoraggiate attività alternative stimolanti né il confronto sui propri vissuti; spesso si accetta la mancanza di dialogo e contatto oculare.  Al peggio alle spalle di questi adolescenti ci sono famiglie iper-protettive (fam. centripeta) ovvero con genitore altrettanto ansioso e timorosi dei pericoli del mondo e socialmente limitati, che impediscono  l’autonomia del figlio, o all'opposto che lo spingono precocemente all’autodeterminazione (fam. centrifuga). In altri casi ci sono famiglie mono parentali dove tutto viene gestito da un unico genitore separato, divorziato o vedovo che, in assenza di rete di supporto, non ha la forza d'animo per occuparsi da solo di tutti gli aspetti educativi. Altre famiglie invece puntano sulla competitività, il perfezionismo, esercitano pressione affinché i figli si distinguano per voti scolastici elevati, una buona resa sportiva, facciano scelte sempre ponderate senza poter vivere le normali ribellioni tipiche dell'età. I ragazzi non ancora emotivamente pronti al confronto col mondo degli adulti ed ancora bisognosi di supporto, guida e dialogo con le figure educative non riuscendo ad adattarsi allo stereotipo, sentendosi sotto pressione, finiscono per isolarsi e rifugiarsi in una “second life”, ovvero una vita virtuale, spesso a fronte di genitori troppo impegnati e disattenti da non riuscire a cogliere o confrontasti sul disagio adolescenziale tipico di chi non è ancora adulto ed in grado di cavarsela completamente da se. 

 

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Autore: Dott. Maurizio Sgambati - Psicologo Psicoterapeuta. © Riproduzione vietata.